Se n’è andato Renato Scarpa, attore caratterista del cinema anni 80, famoso al grande pubblico grazie a tre fortunati incontri: con Carlo Verdone (l’impagabile ipocondriaco di “Un sacco bello”), Massimo Troisi (l’impacciato Robertino di “Ricomincio da tre”) e Luciano De Crescenzo (“Così parlò Bellavista”). Proprio il suo Robertino nel film cult di Troisi, mi ha spinto a raccontarvi e consigliarvi “Ricomincio da tre”, che per me rimane uno dei film italiani più belli di sempre. Il consiglio di oggi è un mio personale tributo a Troisi e Scarpa, chissà leggeranno mai – in qualche modo – queste mie parole…
Prima di procedere con l’articolo, è doveroso premettere la mia incondizionata stima per Massimo Troisi, figura che ahimè non ho potuto “vivere” nel suo periodo d’attività, ma che ho imparato ad apprezzare e a conoscere tramite la rete e la sua produzione cinematografica. La sua vita fu breve ma intesa e, nonostante io sia un ragazzo del nuovo millennio, devo molto al “Pulcinella senza maschera” in termini di creatività e amore per l’arte. Con questo scritto voglio indurre voi lettori a scoprire la bellezza della sua personalità e a tal proposito ho da consigliarvi due libri che ho letto nel recente periodo. Il primo (pubblicato nel 2007) porta la firma di Anna Pavignano, che fu per Troisi prima compagna di vita e poi – in un secondo momento – collaboratrice di tutte le sceneggiature dei suoi film (eccetto “Non ci resta che piangere”), e racconta una storia d’amore che va oltre l’immaginabile. La narrazione si struttura a partire da questa premessa: Massimo Troisi non è morto, ma si è solamente ritirato dalle scene (un po’ come ha fatto Mina)…lettura consigliatissima, il titolo è: “Domani mi alzo tardi” e prende spunto proprio da una delle espressioni di Massimo nel suo quotidiano. Il secondo libro è invece più recente e si intitola “C’era una volta” e come il sottotitolo suggerisce, non è altro che “la favola di una storia incredibile”. Ebbene sì, Lello Arena, collega di Troisi nel trio comico “La Smorfia” e poi in molti dei film dell’attore di San Giorgio a Cremano, decide di raccontare in maniera schietta la sua relazione d’amicizia con Troisi.
Tornando però a Robertino e a “Ricomincio da tre”, che ho recentemente (ri)guardato al fine di cogliere ulteriori spunti, quel che c’è da dire in merito sarebbe molto, quindi il consiglio è di vedere il lungometraggio e cercare da voi quanta più verosimiglianza tra la vostra vita e un film del 1981, che sembra anticipare molti aspetti dei nostri tempi e dello scorso decennio. Il protagonista è Gaetano (interpretato da Troisi, che al debutto cinematografico, cura anche la regia), un ragazzo napoletano che si vede costretto a lasciare la sua Napoli, insoddisfatto della propria vita e dei propri risultati, per fare meta a Firenze. Gaetano rinnega i soliti pregiudizi sui napoletani e a chi gli chiede se sta emigrando, risponde dicendo che anche un napoletano può viaggiare, non deve per forza emigrare dalla sua terra. “Ricomincio da tre” è la storia di un antieroe, forse mai visto su schermo fino a quel momento, un ragazzo semplice che fa cose semplici: parla un napoletano comune, vive di rapporti genuini con gli amici di sempre, s’innamora e per timidezza non riesce ad esprimersi e vive un costante senso di pigrizia nei confronti delle abitudini.
La scena con Robertino è l’apice di questa comicità spontanea, che sembra quasi improvvisata. Gaetano con Frank (un predicatore amico della zia) giunge a casa di Ida, una signora, il cui figlio (Robertino) appare traviato dalla mentalità della donna, nonostante i trentacinque anni d’età. Quando Gaetano rimane solo con Robertino, cerca di fargli cambiare idea rispetto alla sua vita così i due finiscono a parlare di sesso e di giovani.
Robertino chiede a Gaetano: “Ma quand’è che si capisce questo limite…” – e Gaetano: “Il limite del…? allora, prima di tutto devi partire dalla resistenza umana… mai più di cinque… tu sei diplomato?” – “si!” – “…mai più di quattro!”.
Robertino, in prima battuta, sembra essersi convinto, ma alle parole di Gaetano (“Robbè… Robbè qua non ci sta nessun limite… tu devi uscire da qua dentro ti devi salvare, chiste tanne chiuso ind’a stu museo ccà…”) risponde, chiamando ripetutamente la sua “Mammina!”.
Iconica anche la frase: “ma mammina dice che io ho i complessi nella testa” – “ma quali complessi tu tieni un’orchestra intera n’capa Robbè…”, espressioni entrate a tutti gli effetti nel linguaggio comune di noi italiani.
La scena si chiude con Gaetano che esce dalla casa di Ida, sbattendo la porta e pronunciando un ironico: “ma vafanculo tu e mammina…”