Nell’ultimo periodo ho vissuto un’ “overdose di calcio”, motivo per cui ultimamente provo un senso di avversione per quello che per me è sempre stato “il gioco più bello del mondo”. Ma per non essere oggetto di fraintendimenti, proverò a spiegarvi meglio cosa intendo, partendo dall’origine.
Sin da bambino, alla classica domanda “cosa vuoi fare da grande?”, rispondevo con incoscienza e prevedibilità (come è capitato a molti miei coetanei, tra l’altro): “da grande voglio diventare calciatore, giocare per la nazionale e vincere trofei”. Il che però si è dimostrato da subito abbastanza difficile per i seguenti motivi:
- Non ho mai frequentato una scuola calcio;
- ho di fatto giocato poche volte a calcio per strada e con gli amici;
- motivo fondamentale: non disponevo (e tuttora non dispongo) di doti tecniche elevate.
A tal proposito, a soli dodici-tredici anni, decido di appendere gli scarpini al chiodo, nonostante in me ci fosse ancora quella passione che bruciava dentro. Ricordo però che guardando un programma sportivo su Rai Due, appena uscito da un grigio giorno di scuola media, mio padre smosse in me qualcosa che pensavo di non avere: una nuova vocazione. Alla sua provocazione “ma perché non fai il giornalista? Puoi intervistare i calciatori, visitare gli stadi, fare le domande…” . Non risposi perché stavo già fantasticando circa un desiderio intrinseco che non pensavo di possedere. Diciamo che avrei accettato di buon grado quel compromesso: rimanere nella dimensione calcistica, a me tanto cara, per mettere in risalto non le mie doti balistiche (pari a zero o poco più), bensì la mia “parlatina”, che fino a quel momento tutti mi avevano riconosciuto. Cari lettori, perdonatemi il momento auto celebrativo.
Così ho iniziato a lavorare a questo sogno, a partire dalla pagina Instagram jupassion.it, che ho fondato (e che gestisco ancora) nel 2017 e che ad oggi conta più di 43 mila followers. Racconto semplicemente la mia squadra del cuore – la Juve (se non si fosse capito) – con tanta passione. Durante la prima quarantena, sono arrivato anche ad intervistare grandi del calcio quali Causio e Cabrini, oltre a stringere legami con giornalisti e addetti ai lavori. Tutto troppo bello per quel bambino che sognava di diventare prima calciatore e poi giornalista sportivo (in particolare esperto di calcio), ma che nel mezzo era diventato un ragazzo di diciotto anni con ulteriori desideri. Negli ultimi anni ho collaborato (perché tale è stato il rapporto) con diverse testate giornalistiche che mi hanno permesso di “imparare il mestiere” (come si suol dire in gergo) e “farmi le ossa” (altra espressione abusata). Diciamo però che a seguito di questa troppa passione, poi diventata “ossessione”; sono finito quasi per disinnamorarmi del calcio. Evito di narrarvi i dettagli ma quando la pressione è troppa, cala anche la passione; non è sempre così, ma può capitare!
Ultimamente, però, ho scoperto una realtà abbastanza affascinante, di cui vorrei parlarvi. Un mio carissimo amico, appassionato di basket ( per intenderci: è quel tipo di ragazzo che di certo non si svena nelle discussioni sul perché Vlahovic andrà alla Juve) mi ha portato a seguire – senza troppi schemi e vincoli – il massimo campionato di pallacanestro americano. E devo dire di esserne rimasto piacevolmente sorpreso e affascinato. Se anche voi, come me, siete cresciuti con il mito del pallone da bambini, dovete – secondo il mio parere – in qualche modo allargare gli orizzonti, sempre se vi va… Credo che l’NBA ma il basket in generale, sia un sistema sottovalutassimo qui da noi, in Italia, ma che offre “un’epica sportiva” con un’elevata dignità. Talvolta però la narrazione della pallacanestro è quella di “sport di serie b”, quando invece lo spettacolo di alcune giocate e di alcuni colpi non hanno eguali. Forse sono semplicemente io quello che si è approcciato in ritardo a questo mondo ma se sono qui a scriverlo, da credente e praticante del dogma calcistico, vuol dire che realmente il basket è qualcosa di interessante e divertente al contempo. Non ho ancora la minima idea di come funzioni alla perfezione il sistema del draft NBA oppure il format dell’Eurolega, ma vedere Lebron James – all’età di 37 anni – fare giocate impensabili, vi assicuro che è qualcosa di veramente appagante da spettatore.
Il consiglio odierno è semplice e lo scrivo a me in primis: non avere paraocchi. Può sembrare una banalità, come quelle che trovate sulle pagine Instagram di gente che ti motiva a diventare l’imprenditore del secolo, ma non lo è affatto! Cercate la vostra “NBA” e non sbaglierete!
Promemoria: sarai sempre maestro e allievo di qualcuno o di qualcosa. In realtà la frase che ho scritto è una citazione a qualche discorso più elaborato che ho letto da qualche parte, ma dato che ora non ricordo – sinceramente – dove l’ho trovata: beccatevi questa mia rivisitazione. Sì lo so, non è il massimo… ma è accettabile.