A Sinisa

Sono seduto ad un tavolino del bar della biblioteca con due mie amiche e come al solito, mi agito raccontando loro le varie peripezie della mia vita da studente universitario. Ad un tratto, però, ho bisogno di una pausa e mi estrometto dal discorso, prendo in mano l’iPhone e “scrollo” rapidamente l’homepage di Instagram. Intravedo una sua foto. La mente mi porta subito a quel collegamento che eviterei di fare, ma molte volte il subconscio ti frega… e quindi realizzo quello che avrei volentieri fatto a meno di realizzare. Un post di Cronache di Spogliatoio: c’è lui con il suo sguardo serio, pensieroso. Il testo in sovraimpressione non lascia indugi: SINISA MIHAJLOVIC CI HA LASCIATI A 53 ANNI.

Pronuncio una parola che non riporto e mi allontano dal tavolino con il cellulare in mano, mentre pian piano provo a metabolizzare il “botto”. Arrivano i primi messaggi di cordoglio sui social, i miei amici girano sui vari gruppi il link della notizia, che proprio non desideravo leggere; per quanto fosse poi – ahimè – plausibile, considerati i recenti aggiornamenti in tal senso. Perciò non penso sia una fake news, come vorrei fosse. Mi dispiace davvero tanto e in questi casi non so che dire, anzi è meglio non parlare. Cammino, su e giù. 

Il primo imput che giunge alla mente riguarda una sua frase pronunciata in una conferenza stampa ai tempi del Torino. La ricordo con molto piacere e soprattutto è rimasta viva nella mia mente nonostante siano passati ormai diversi anni. Credo di aver visto, per la prima volta, quel video su Facebook. Parlo del 2016 circa, ero molto più piccolo e immaturo di adesso, per comprendere realmente alcune dinamiche inerenti al calcio e alla comunicazione; ma quelle sue parole mi colpirono per l’efficacia e perché me le ripeteva anche papà quando non avevo voglia di studiare o di impegnarmi. Motivo per cui, mi è capitato spesso – dopo la “prima visione” – di riguardare quel video su YouTube. 

Un giornalista gli chiede se sia difficile per Benassi, ai tempi giovane promessa del calcio italiano e del Torino, indossare la fascia di capitano ed essere decisivo a soli ventidue anni. Sinisa ascolta, gesticola, quasi accenna un sorriso sornione quando riceve la domanda, che non lascia nemmeno terminare ed esclama con decisione e fermezza con quel “suo” italiano dall’accento straniero: “non è facile svegliarsi ogni mattina alle quattro, quattro e mezzo e andare alle sei a lavorare tutto il giorno e non arrivare a fine mese”. Pronuncia queste parole tutte insieme, poi prende una breve pausa, fa “no” con la testa e continua: “questo non è facile, questo deve essere un piacere e deve essere contento e orgoglioso che c’ha ventidue anni: gioca nel Torino, è capitano del Torino e ha fatto pure gol”. Aggiunge: “perché è una persona fortunata, come noi che facciamo questo lavoro”. 

Un concetto semplice, profondo; che sono solito ripetermi: “sono una persona fortunata”. Per quanto queste parole possano sembrare abbastanza retoriche o ridondanti di moralismo, Sinisa centrò il punto del discorso con la sua caratteristica naturalezza nell’agire, parlare, esporsi e dire – alle volte – anche cose scomode. Prendere una posizione non è mai facile e lui lo ha sempre fatto con fermezza perché cosciente delle proprie idee e dei propri valori. Un giocatore prima, un allenatore poi con la voglia di vivere al meglio le proprie esperienze, riconoscente di ciò che aveva nei confronti della vita. E soprattutto di quello che aveva affrontato anni addietro: “ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva ‘scannare come un porco’, disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita”.

Noi che su questo blog ci soffermiamo proprio sul tema della solidarietà, quanto abbiamo da imparare da un uomo come Sinisa, il quale fino all’ultimo (come tante altre persone meno conosciute di lui) ha combattuto contro un male, che aveva dapprima sconfitto ma che poi è tornato prepotentemente a battagliare la sua esistenza!

Scindere Miha da questo ultimo momento della sua vita non è facile. Ricorderemo a lungo, amanti del calcio e non, questa battaglia e il coraggio nell’affrontarla. Non ha mai nascosto la sofferenza, il dolore e la paura. È stato uomo nel vero senso della parola con tutte le fragilità del caso. È stato marito, amico, allenatore, ex calciatore e personaggio pubblico con la consapevolezza di dover andare avanti, di dover combattere, nonostante tutto.

Messaggi del genere, come il mio, lasciano realmente il tempo che trovano. Leggerete tanti pensieri come questo ed è naturale quando si tratta di un personaggio pubblico amato dai più. Non ho mai avuto la fortuna di conoscere Sinisa personalmente, quello che ho percepito della sua umanità l’ho immaginato, se non dedotto dalla televisione. Sono stato molte volte d’accordo con il suo parere, molte altre non ho condiviso la sua “visione”. Ma da spettatore, ho sempre rispettato la sua personalità (forte, alle volte anche “rigida”) e il suo modus operandi, anticonformista ma molto autoironico. Mentre scrivo ritornano alla mente molte immagini. Il suo duetto a Sanremo con Ibra, le sue sneakers alla moda che lo rendevano l’allenatore più stiloso della Serie A oppure quegli immancabili cappelli che indossava per “coprire” il capo, segno visibile dell’irruenza della malattia. O ancora quella foto con Zeman – una delle sue ultime “uscite pubbliche” – alla presentazione del libro del “Boemo”. Voleva esserci, nonostante tutto. A due settimane dall’addio.

Ciao Sinisa, non potrei scrivere nient’altro. Il calcio perde un uomo con i piedi ben piantati per terra, caratteristica sempre meno usuale in quell’ambiente. La tua famiglia perde un padre, un fratello, un marito e un nonno e questo, indipendentemente da quale lavoro fai o da chi sei, è sempre un gran dispiacere. 

Dicevi che: “Le palle uno le ha o non le ha. Però l’allenatore deve farsi seguire. Io sono sicuro che se dico ai miei di buttarsi dal tetto loro prima lo fanno e poi mi chiedono perché“. E anche per questo, sei davvero stato unico!

Avevi ragione tu: quel brutto male ha avuto coraggio ad affrontare uno duro come te. Alla fine, sì, ti ha vinto. Ma al contempo, hai vinto anche tu con tutto quello che ci hai lasciato… grazie ancora, Sinisa.