Buoni o cattivi

“Si può spegnere ogni tanto il pensiero…”. Inizia con questa frase l’album “Buoni o cattivi”.

È il 2 aprile 2004, Vasco Rossi viene dal successo maturato con “Stupido hotel” e “Siamo soli” e dall’epocale concerto della scorsa estate a San Siro davanti a circa ottantamila persone. 

Ma quello fu anche un anno particolare per chi vi scrive.

Avevo tre anni. Tra una sinfonia di musica classica, una figurina di Paolo Maldini, un saluto dell’orso Bear alla luna in tv e una videocassetta contenente i concerti di Capodanno a Vienna, spicca un genere di musica diverso che entra quasi con forza nelle mie vene, tocca le corde dell’anima, marcando quasi per sempre la mia vita. 

Una copertina lucida, con un uomo incappucciato vestito di arancione e fotografato mentre cammina per le strade di New York, resta impressa nella mia mente. Ascoltare un bambino mentre canta “Buoni o cattivi non è la fine… prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare…” può sembrare strano. Invece no. Non sarà così. 

Quella canzone di Vasco diventa la mia colonna sonora, anzi, cerca e riesce a sostituire la sigla del mio cartone animato preferito. 

Le chitarre sul finale del singolo sembrano quasi un lamento con la voce di Vasco che domanda agli ascoltatori di scegliere tra i buoni e i cattivi. 

Ma questo è solo l’inizio. All’orizzonte c’è un tour da affrontare e soprattutto un concerto con oltre quattrocentomila persone nel quartiere “Germaneto” di Catanzaro. 

“Cosa vuoi da me”, “Come stai”, “Non basta niente” e “Anymoure”, diventano le altre canzoni principali dell’album. I testi si sposano con la musica, creando il feeling e una cornice perfetta per i live. 

Ma il Blasco che conoscono i fan non è certo caratterizzato solo da ballate, pezzi rock e assoli memorabili di chitarra. Le canzoni di Vasco sono ricche di emozioni. “E…” è un esempio.

Una canzone d’amore probabilmente dedicata dal rocker di Zocca al suo popolo. 

L’album si chiude con “Un senso”. Vasco lascia tutti nel dubbio, informando di voler trovare un senso per la sera, per la vita, per la storia che prosegue, per quella voglia di continuare a cantare e per tutte le altre cose che circondano la storia di ogni essere umano. Quando questo splendido successo viene eseguito durante i concerti, la chiusura è affidata all’assolo del chitarrista statunitense Stef Burns. Le corde vibrano e il suono arriva direttamente nel cuore del pubblico. 

Nel settembre dello stesso anno Vasco riesce ad esibirsi a Catanzaro.

Ricordo ancora quella videocassetta strappata quasi con forza dalle mani di un familiare. Non per cattiveria ma perché avevo tanta voglia di scoprire questo nuovo genere musicale.

Oggi ho vent’anni e quell’album viaggia ancora nella mia testa perché la musica di Vasco è come la passione calcistica, viene tramandata di generazione in generazione.