Eccoci quindi alla seconda parte.
Ho visto persone disperate che già danno per scontato l’andamento del film. Ma mi permetto di sollevare una riflessione: è così tragica la situazione?
Mi spiego meglio
Sarà una mossa rischiosa, forse folle. Ma, giuda ballerino (chi vuol capire capisca) se come azione di marketing non è geniale.
E questo, sebbene ci presenti un paradosso, ci porta al secondo punto.
Todd Phillips ha involontariamente apparecchiato le basi per uno degli argomenti cinematografici che farà parlare maggiormente di sé per tanto tempo. Bene, male, purché se ne parli. Ed è limpido a tutti che arriverà molta acqua al mulino di casa Warner Bros , alimentata dai numerosi dubbi riguardanti le piega inaspettata della situazione.
E sta nell’ avverbio della prima frase la contraddizione: Philips non ha come priorità i soldi e il ricevere attenzioni.
Certo ,non lo conosco in prima persona, ed è corretto pensare che il vil denaro abbia ognuno di noi come schiavo, ma pensiamoci un attimo: realizzando, se così dovesse essere effettivamente, un film dal genere musical partirebbe inevitabilmente con due metri in meno rispetto agli altri concorrenti. Difatti, forse superficialmente ,sono sicuro che molti verranno tentati in maniera estremamente minore dall’ idea di regalare una visione su grande schermo . Perché si sa, la fetta di pubblico a cui piace questo target di lungometraggio non è così vasta. È una fetta fedele, appassionata (basti vedere successi del passato divenuti cult e ancora oggi amati e usati ad esempio) ma pur sempre piccola ,o almeno molto meno ingente delle avversarie.
Ma in una staffetta non vince chi va più veloce. O almeno, si. Ma è fondamentale anche tenere il passo e avere pazienza pregustando il sorpasso. Ed è questo quello che dovremmo fare noi. Aspettare. E non giudicare.
In ogni caso, il papabile cambio di rotta non ha sicuramente come priorità i soldi. In quel caso sarebbe stato facile rimanere nella propria comfort zone e cullarsi in quella che è una struttura più che solida.
E il regista lo sa. Ma non se n’è interessato, ed è questo che rende un lavoro grande. Perché il marchio non è minimamente sull orlo del crollo, anzi. Joker va che è una meraviglia ,i fan cinefili sono ovunque e il livello di gradimento per il primo film è stato notevole. Non servivano sorprese per mantenere l attenzione salda.
Ed è qui che entra in gioco il punto numero tre, la comfort zone. Perché ammettiamolo, quanto è bella la propria bolla personale?
Quanto è comodo rimanere in terre conosciute dove non si corre pericoli?
Tanto, soprattutto in questo caso, joker va a ruba in ogni modo. Specie se accostato alla sua storica amata che potrebbe venir trasporta in una chiave decisamente più macabra e grigia.
Difatti se nel primo film abbiamo visto le pre-origini del protagonista, in questa pellicola potremmo vedere un joker più maturo, forse non ancora sul punto di entrare nella malavita della cupa Gotham, ma sicuramente nel pieno della sua profonda ascesa verso la pazzia.
Che va curata con una psicanalista, harleen quinzel, la quale per chi conosce la storia, si rivela a tratti ancora più pazza del suo paziente di cui si prende un feroce innamoramento non corrisposto.
Ma il musical, accettando a malincuore o meno l idea, cosa c’entra? E sta qui la mia interpretazione.
E se vedessimo un Arthur Fleck nel pieno di una crisi psicologica e nel pieno di numerose visioni? Magari riguardanti la musica, giustificata dall’ atmosfera totalmente degenerata della mente del personaggio? Difatti abbiamo già visto a tratti nel primo film accenni alla musica, tra i mezzi usati per provare a fuggire dal proprio stato. Stato in piena crisi che penso andrà a peggiorare ulteriormente fino alla parte finale del seguito, con un joker alle primissime armi.
La butto così.
Leggi anche: COMFORT ZONE E PREGIUDIZIO (PRIMA PARTE)