Fu come  l’ala che non lascia impronte: la presa del Sabotino   

“Fu come l’ala che non lascia impronte, il primo grido avea già preso il monte” è un distico coniato da Gabriele D’Annunzio che fu uno dei protagonisti indiscussi della Grande Guerra e che seguì da vicino le varie fasi del conflitto. Il Monte a cui fa riferimento il Vate è Il Sabotino, di cui poté vederne la conquista il 6 agosto del 1916 ad opera dei “Lupi di Toscana” nome dato dagli austriaci ai soldati della brigata omonima. Il Poeta rimase profondamente colpito dalla velocità e dall’irruenza con cui si svolse l’azione che fu ben diversa dagli assalti di massa dei primi mesi di guerra. Ma come si arrivò a tale successo? Il Monte Sabotino, secondo Cadorna, era la chiave per arrivare a Gorizia, Lubiana e Trieste e perciò fu teatro di cinque sanguinosi tentativi di conquista che portarono alla morte di migliaia di soldati su quello che il comandante austriaco, l’Arciduca Eugenio, definiva un baluardo “imprendibile”. I generali italiani, tra cui Montuori, compresero che per conquistare il monte era necessaria un’azione globale che consentisse di prendere l’intero Sabotino in modo da non dare al nemico possibilità di riorganizzarsi e riprendere le posizioni perdute. Il generale Venturi pensò di procedere come negli assedi medievali ed è così che furono costruiti, dal dicembre del 1915 al luglio del 1916, dei camminamenti che permisero ai soldati italiani di arrivare a soli cinquanta metri dal nemico alla vigilia dell’attacco. Le gallerie furono scavate nella roccia viva e dotate di stanze, simili a caverne, utili a radunare un migliaio di uomini. Tali operazioni e le fasi della conquista furono seguite da Badoglio che nel 1928 ebbe da Vittorio Emanuele III il titolo di “Marchese del Sabotino”. Venturi, che ideò e preparò meticolosamente l’impresa, venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare. All’alba del 6 agosto si scatenò, da parte italiana, un martellante bombardamento del monte che si concluse solo alle sedici, l’ora dell’attacco. Il cannoneggiamento fu terribile e aprì la strada alla  repentina conquista della vetta che si concluse in appena quaranta minuti e con perdite ridottissime. Tutto ciò fu possibile anche grazie al genio di un ingegnere, il generale Gavotti, che ideò la rete di caverne, trincee, camminamenti che, come chiesto da Venturi, consentisse non solo la difesa ma anche l’avvicinamento al nemico per coglierlo di sorpresa. Sulla cima conquistata, quando era ancora italiana, furono posti a ricordo dell’evento dei lupi rampanti in bronzo ed una lapide con incisi i versi dannunziani.