Nella nostra vita tutti abbiamo fatto esperienza del tradimento. Il tradimento ci ferisce perché è frutto tante volte delle azioni delle persone più vicine. A tradirci spesso sono gli amici, ma anche i parenti più stretti, molto spesso colleghi di lavoro. Facciamo fatica a capire quando siamo noi gli artefici del tradimento. Cioè quando siamo capaci di rinnegare una parola, un segno, un impegno, per riconsegnare l’altro nelle mani del caso o addirittura di una persona non benevole. Chi tradisce abusa della fiducia della persona amata. La circoscrive. Costruisce una montagna di falsità pronta come una valanga a scagliarsi verso chi è tradito. Il tradimento recide. Innalza muri. È frutto di invidia e di odio. Anche Gesù prima di vivere la Pasqua fa esperienza del tradimento di Giuda. Quante volte questo suo discepolo avrà visto e sentito il maestro. Non si preoccupa. Pare che non abbia imparato nulla. Eppure è capace di consegnare il maestro nelle mani dei sommi sacerdoti che lo volevano morto. Non si preoccupa nemmeno del giudizio dei suoi amici. Di aver condiviso la fatica dell’annuncio tra le strade polverose della Palestina. Di essere lui stesso testimone dei tanti miracoli fatti da Gesù. Saranno i trenta denari a saziare la sua voglia di libertà? Sarà la promessa di un futuro, forse, più roseo nella corte dei sommi sacerdoti? Sarà, forse, anche l’invidia di vedere Gesù uomo osannato tra le strade? Il tradimento si alimenta con la sete di potere, di denaro, di visibilità. Dall’azione del tradimento di Giuda, lo Spirito compie la missione di Gesù, dare la vita per la remissione dei nostri peccati. La croce non è il frutto del tradimento. La croce è l’amore incondizionato di Dio per l’uomo. Senza la croce, passata attraverso il tradimento, non ci sarebbe la risurrezione.