Italia-Germania 4-3: la partita del secolo

La storia del calcio annovera incontri ed episodi che a volte rasentano la leggenda, ma il match simbolo di questo sport, tanto da meritare una lapide nello stadio in cui fu disputato, è stato quello giocato tra le rappresentative di Italia e Germania nel mondiale messicano del 1970 e valido per l’accesso alla finalissima, poi persa dall’Italia contro il Brasile di Pelé. Per raccontare quello che accadde quel giorno è necessario partire dallo scenario: il mitico “Estadio Azteca” di Città del Messico, con centomila spettatori sugli spalti, e, sopra il campo, un cielo grigio pomeridiano. Molti dei presenti erano messicani o latini e furono senz’altro i più affascinati dallo spirito combattivo degli interpreti di quel memorabile incontro, così da battezzarlo “El partido del siglo”, la partita del secolo. Questa drammatica semifinale, del 17 giugno 1970, si aprì con il vantaggio italiano, siglato da Boninsegna, dopo appena otto minuti, e poi quasi novanta minuti di tattica fino al recupero finale in cui i tedeschi acciuffarono il pareggio con Schnellinger. Questa rete segnò l’ingresso di una partita non molto entusiasmante nella dimensione del mito, il superamento del confine tra storia e leggenda, lo spartiacque tra realtà e sogno. La casacca nera di Yamasaki, le maglie bianche dei tedeschi ed azzurre degli italiani sono i colori indelebili di quei trenta minuti incredibili dei supplementari seguiti, a notte fonda, da tutta l’Italia. Si registrarono malori, addirittura una morte per infarto, tanto fu adrenalinica quella fase del match. Gli attori erano  tra i migliori calciatori in circolazione e ci furono addirittura cinque goal: prima Muller, poi Burgnich, poi Riva, poi Muller e infine quello decisivo del quattro a tre siglato da Gianni Rivera. Protagonisti sul rettangolo di gioco furono anche i portieri, Albertosi e Maier, ed i capitani:  Facchetti e Beckenbauer; di quest’ultimo non si possono non rievocare le immagini che lo ritraggono, con la spalla lussata e la vistosa fasciatura, mentre, con immensa eleganza, organizza il gioco. Il tutto era narrato brillantemente dalla voce di Nando Martellini, che, a caldo, definì quella partita “meravigliosa” ed esultò sul quattro a tre con il celebre: “Rivera! Rete!”. Insomma, la partita perfetta, irripetibile, lontana ormai più di mezzo secolo, ma sempre entusiasmante, l’incontro senza vincitori né vinti, la manifestazione dello spirito dello sport e del pensiero di De Coubertin: “La cosa essenziale non è la vittoria, ma la certezza di essersi battuti bene”.