L’abbraccio

Nella notte stellata di Londra, nello stadio Wembley, icona massima degli amanti del calcio, oltre al bel gioco espresso dalle squadre in campo e per noi italiani, la meritata coppa, il mondo intero si è emozionato per un abbraccio lungo, sentito, liberatorio. Un abbraccio tra amici, non solo. Un abbraccio come tanti che si scambiano in campo i giocatori, riduttivo. Un abbraccio per vincere le paure, scontato. L’abbraccio espresso tra due icone del calcio italiano ed europeo è stato molto di più. Sia per le vicende personali tra i due protagonisti, sia per il momento storico che il mondo sta vivendo con il Covid-19. In quel abbraccio, in quelle lacrime sincere, ci siamo pure noi. Un abbraccio, il suo calore, la sua forza, vale più di mille parole non espresse. L’abbraccio ti consegna la vicinanza di un amico, di una persona cara, ti dice che la gioia o il dolore del momento sono anche le mie gioie, i miei dolori. In un mondo privato dell’abbraccio, Mancini e Vialli, hanno consegnato ad ognuno di noi la freschezza di quel gesto che non può più essere banale o di circostanza. Mancini e Vialli, al dì là del momento presente, hanno espresso in maniera indelebile, che nonostante tutto, gli uomini si riconoscono dagli abbracci sinceri. Le lacrime non sono segno di debolezza, ma di rivincita e di vittoria. Se i giocatori hanno espresso in campo la loro voglia di vincere, ai suoi bordi si è consumato un terzo tempo, di pochi minuti, che consegnano ad ognuno di noi la nostalgia di un gesto, la sua purezza, la sua mistica religiosità. Un abbraccio, icona del tempo presente, non più scontato, ma conquistato.