Chi non ha mai avuto paura del buio?
Credo onestamente nessuno, a partire dalla genuina paura del buio (nel suo senso più letterale) in età più giovane, fino ai molteplici scontri contro la nostra ombra, la quale rappresenta nient’altro che il buio interiore. Le nostre paure, le nostre insicurezze che ci appaiono davanti con fare discontinuo ma insistente e che nel bene o nel male accompagnano anche le persone all’apparenza più forti. Perchè la corazza non è altro che un costrutto per apparire ma la paura non è altro che un nemico creato da noi stessi e che noi stessi siamo tenuti a ridimensionare per usare l’ombra come scala a pioli per risalire dal burrone.
Tieni vicino gli amici, ma ancora di più i nemici. E contestualizzata a questo discorso questa frase acquista veridicità in quanto rispettare l’ombra è l’unico modo per sconfiggerla. Solo lo scontro con essa infatti ci fa maturare, specie se nel mezzo di esso dovessimo scivolare o prendere colpi. Dopo il primo incontro con la paura ci nascondiamo, dopo il centesimo affondiamo ma dopo il millesimo ci alziamo e vinciamo. Avere paura non solo è normale, fa parte della vita. Smettiamola di avere paura dell’avere paura.
Tra i risvolti psicologici troviamo anche l’incertezza, con i dubbi sul proprio futuro in prima linea. E anche quello del pianeta Terra. Qua è da fare un discorso più complesso anche perchè la chiave a questo dilemma sempre di più di natura esistenziale è faticosa da trovare, per porre un eufemismo. La classica domanda da un milione di euro insomma. Cosa fare quindi? Sarò onesto, non possiedo la chiave citata prima purtroppo. Ma so cosa invece non bisogna fare: scrollare le spalle adottando il ragionamento “non si può fare più niente ormai, è finita”. Punto primo perchè come non tutte le ciambelle non escono con il buco va detto anche che non tutti i motti popolani della nostra infanzia sono infondati. Infatti si dice che la speranza sia l’ultima a morire, e questo detto a dir la verità non ha tutti torti. Nel punto secondo accarezzo invece la metafora del concetto di confort zone, mia personale ombra che fortunatamente si mostra distaccata ma sinceramente suscita in me spavento. Non ci costa niente provare a salvare questo mondo. Perchè allora non tentare, invece di farci prendere dallo sconforto?
Quanto ci piace parlare, giusto per mostrare nobiltà d’animo che maschera pura ipocrisia. Poi, siamo i primi a starci male, esattamente come in seguito alla visione di Avatar, uscito nelle sale da poco dopo più di 10 anni di attesa dal primo capitolo divenuto cult per il pubblico e per la storia del cinema recente. Una vera e propria “depressione”, questa la parola usata dagli studiosi per definire lo sconforto provato da molti nel ritorno verso casa post proiezione. Causato non dal film in sè, qualitativamente ad un livello veramente notevole con una trama ben orchestrata e un comparto grafico strepitoso, bensì dal concetto di natura in esso. Difatti nel fantasioso e fantastico mondo di Pandora troviamo i Na’Vi, popolo di umanoidi blu in strettissimo legame con la loro vegetazione in un armonioso e spassionato amore per il pianeta e, perchè no, amor proprio. Atteggiamento decisamente agli antipodi se lo confrontiamo ahimè con noi esseri umani che ci disinteressiamo dell’ambiente che ci circonda.
Come curare questo sintomo sociale? Aumentando le proprie interazioni con esso, facendo più passeggiate all’aria aperta, apprezzando maggiormente quel parco situato vicino casa tanto disdegnato. Da aggiungere ai buoni propositi del 2023, sperando che almeno questo non si vanifichi dopo sole due settimane di buona volontà.