Tredici anni. I primi amori. Le prime battaglie. I primi traguardi. I primi passi verso l’età adulta in una comune consapevolezza di avere già il mondo in mano.
Parliamo di Red, l’ultima perla sfornata da una sempre più rinomata e cosciente delle proprie capacità Pixar che decide di replicare la cornice del suo vero e proprio capolavoro “Inside out” ma osando di più attraverso la storia della “piccola grande” Mei Lee, alle prime prese con il vero e proprio caos della giovinezza sul filo tra il sentirsi “padrona della propria vita”, come la sentiamo dire a mo’ di voce narrante a inizio film, e il doversi scontrare con la dura realtà con responsabilità e una madre decisamente protettiva e fiera della sua “figlia modello” da cui richiede sempre il massimo. Proprio la figura della madre permette di accogliere un’inedita caratteristica dopo appena dieci minuti di pellicola: Pixar a questo giro ha deciso infatti di abbracciare, pur senza perdere il proprio DNA, la cultura orientale, portando sullo schermo una famiglia di origini cinesi radicata a Toronto. Ed è in queste scene che troviamo la vena religiosa di essa: la scena si sposta infatti al tempio di proprietà della famiglia canadese dove Ming, la figura materna, descrive agli ospiti l’ideologia di casa: venerare non un Dio, bensì i propri antenati. È qui che il film si prende un momento per dare un input generale: in fondo al personale albero genealogico Ming si sofferma con particolare attenzione a Sun Yee, ragazza vissuta molti secoli prima, dedita allo studio e alla poesia ma in primo luogo agli animali, in particolare al “Panda rosso”, simbolo di prosperità per le generazioni future. Ed è proprio questa mistica creatura ad irrompere in una nottata piovosa nella camera della ragazza che poche ore prima aveva represso duramente i propri primi sentimenti(anch’essi frutto della normale crescita) e che la mattina dopo si sveglia normalmente come se non fosse successo nulla. Si alza dal letto ,saluta i genitori, va in bagno e guardandosi allo specchio al posto di una minuta ragazza occhialuta, trova un panda dal colore rosso acceso, metafora nientemeno che dello sbocciare del ciclo mestruale pronto a stravolgere la vita di Mei.
Un passo importantissimo per la storia dei cartoni in cui nessuno aveva mai raccontato così esplicitamente un argomento che negli anni era arrivato a costituire un vero e proprio tabù cinematografico. Pixar invece tenta e riesce il passo in modo dolce ma estremamente diretto, nei limiti del cinema per bambini ovviamente.
È la grande giostra della vita, primo profondo ostacolo che nel bene o nel male, abbiamo vissuto, stiamo vivendo, vivremo tutti con i momenti di panico e gli altrettanto genuini momenti di smarrimento.
Come affrontare quindi il panda? Con il rituale previsto per la notte della luna rossa, tradizionalmente ripetuto nel tempo della famiglia Lee?
No, imparando a conviverci, prendendo anche il lato negativo del cambiamento.
Infatti, dopo una tormentata serata, Mei decide di non bandire il suo animale, rimanendo così incatenata a esso in un confronto finale commovente con la madre che accetta la crescita dell’amata figlia.
Animazione vivace, coraggio d’osare, come se ne vede troppo poco al giorno d’oggi e un tenero racconto della storia della vita nel suo percorso (letteralmente) bestiale.
Un film sicuramente non esente da difetti ma assolutamente consigliato, l’ultima creazione in casa Pixar non fa che confermare la grande forza dello studio statunitense, capace di migliorarsi continuamente.
Unica pecca, un grande rammarico poter godere di questa pellicola solamente dagli schermi delle nostre case grazie al servizio di Disney plus e non in sala dove avrebbe sicuramente coinvolto maggiormente un grande pubblico, quale merita un grande film, ma questo è un altro discorso.