Ah, la primavera, i fiori tornano a vivere, è tempo di forti emozioni e i cuori escono dal letargo per prepararsi a grandi sorprese e palpitazioni. È arrivato l’amore? Macché.
In un fine marzo apparentemente tranquillo (stranamente aggiungerei) ci ha pensato il servizio di Amazon prime video ad animare le persone, annunciando all’improvviso un più che lieto ritorno: per la gioia dei fan è in arrivo entro un anno il reboot del noto game-show giapponese più stravagante di sempre, Takeshi’s castle.
Il programma in onda su Boing che ha accompagnato migliaia e migliaia di ragazzi in tutto il mondo non ha di certo bisogno di presentazioni.
Il generale Iee, i suoi 100 concorrenti e la serie di prove per arrivare al castello del conte Takeshi (piccolo aneddoto: il nemico finale del gioco altro non è che l’ideatore di questa perla) sono infatti ben impressi nella mente dopo anni.
Più di cento le ardue e esilaranti sfide trasmesse dal 1986 al 1989, tra le quali è impossibile dimenticare la tavola da surf volante su cui il giocatore deve evitare gli ostacoli senza cadere abbassandosi o saltando.
O il temibile labirinto (Honeycomb maze il nome originale) a celle esagonali con i concorrenti impegnati a trovare l uscita senza venire catturati dagli sgherri o andare fuori mappa, delimitata ai confini da un fangoso lago.
O ancora, Knock Knock che apriva le danze di ogni episodio e vedeva i giocatori in corsa verso il traguardo passare per 10 porte, tra passaggi veri e falsi con reti o muri ad attendere (testate assicurate, esattamente come le risate).
Starei ore a parlare di queste sfide una per una trascinato dal forte flusso di ricordi ma nel mentre mi sale una riflessione: quanto è influente la sfera affettiva nel merito riguardante il successo di un prodotto? Quanto è sottovalutato come argomento nonostante la sua importanza nel mercato mediatico?
Non è in dubbio che alla notizia di questo insperato ritorno grande ruolo è stato giocato proprio dalla nostra infanzia che non smette di ricordarci quanto erano belli quei tempi di piccole grosse preoccupazioni e di sana ingenuità. E quanto soprattutto dentro ciascuno di noi ancora risieda uno spirito infantile(nel senso buono del termine) mai domo. È qui che sopraggiunge, seppur in maniera più leggera, quasi un sentimento di “saudade”, termine portoghese per indicare il rimpianto malinconico dei tempi perduti.
Funziona quindi il famigerato effetto nostalgia? Il più delle volte sì ma bisogna imparare a non lasciare ad esso tutto il lavoro. Come una casa ha bisogno di pareti ma anche di interni, così ogni questione va risolta nel suo insieme.
Il riferimento alla Marvel non è casuale, colpevole di aver creato un film capolavoro considerando il livello di emozioni ma inconsistente nel resto. Se infatti Spiderman No Way Home è riuscito i primi giorni (o le prime settimane per i fan più legati) a far impazzire miliardi di persone ,non ha potuto regalare le stesse emozioni in un secondo momento, rivelando agli occhi più lucidi un film semivuoto retto dal ritorno degli amati Spider-Man provenienti dai film passati.
Apprezzati? Senza ombra di dubbio, considerata la risposta del pubblico in sala e sui social (numeri record proprio come la reazione nei cinema, con un inedita atmosfera da stadio). Ma per forza di cose non sufficienti a salvare la pellicola da uno sguardo critico.
Accontentare i desideri del pubblico è sicuramente la mossa più facile, e come in questo esempio la più fruttuosa.
Ma è giusto saper andare oltre e chiedere di più da sé stessi creando una via di mezzo tra qualità e community. Magari evitando nel mentre film che rischiano di macchiare la propria reputazione, vero Morbius?