Segno di unità

Una dichiarazione ufficiale del CAI, Club Alpino Italiano, ha sollevato polemiche sulle nuove installazioni di croci sulle vette delle montagne. Ha lasciato un po’ tutti sconcertati che il simbolo per eccellenza del cristianesimo venisse additato come elemento di divisioni tra chi frequenta le alte montagne. Cosa meno vera del solito, perché la croce rappresenta, oltre a Cristo morto per l’uomo, la tolleranza e l’accoglienza a tutte le sofferenze del mondo. Salire la montagna e trovare la croce è come partecipare alla salita del Golgota dove un uomo, Dio per i credenti, ha fatto della croce un vessillo di redenzione, libertà, partecipazione.

Una croce senza l’uomo, una croce senza Dio, ci dovrebbe indurre a guardare oltre ai confini dell’altezza per entrare nella grandiosità dell’immenso. Certo i rappresentanti del CAI non vogliono togliere le croci esistenti, ma il dibattito che ne è scaturito fa riflettere sul significato che la croce rappresenti per la nostra società e il valore non solo di fede, che essa trasmette a chi guarda in alto, alle cime dei nostri monti. Per chi è della nostra zona, già dal giubileo del 1900, è abituato a guardare in alto al Monte Celano e vedere la croce.

La croce fa parte del nostro essere comunità cittadina di San Marco in Lamis. Fra meno di due anni festeggeremo 100 anni dalla sostituzione della croce di legno con quella più solida in ferro. La croce che vediamo adesso è frutto di una tempesta di neve che aveva abbattuta quella precedente. Lo sguardo che naturalmente facciamo verso Monte Celano sarebbe diverso se non ci fosse la croce. È compito di tutti conservare la croce e preservarla per le generazioni future.