A Roma si è da poco conclusa la ventottesima edizione del Romics, uno degli eventi più attesi dell’anno da nerd e non sparsi in tutta Italia. La fiera infatti, nelle sue due uscite annuali (doppio appuntamento ormai da 9 anni, tradizionalmente a marzo e ottobre) può godere almeno di quattrocentomila persone. L’ evento non ha bisogno di troppe lodi per confermare la sua bellezza rivolta a tutte le età (volto maggiormente ai più giovani ma impossibile non affascinare anche i più grandi) ma analizzando più attentamente la questione, cos’è che spinge persone sparse in tutta Italia a prendere appositamente un treno per giungere nella capitale?
Proviamo a concentrarci da un altro punto di vista.
Abbiamo sempre guardato al Romics come la fiera del fumetto, dei videogiochi e del divertimento. Tutte cose leggere quindi.
Sta qui la forza che ha portato tanto successo dal 2001 ad oggi. Perché il Romics è soprattutto una vera e propria fuga dalla realtà, dalla routine che a volte rischia di soffocare.
È un modo, ma soprattutto un mondo (e qui mi soffermerò a breve) nuovo, dove poter staccare il cervello e riprovare la sensazione di essere tornati bambini.
Tutto ciò non è analogo forse ad uno dei temi cardini della poetica pirandelliana, citando la novella “il treno ha fischiato”(raccolta “novelle per un anno”) pubblicata dallo scrittore italiano nel 1914?
Qui troviamo come protagonista del racconto, il contabile Belluca , quale conduce una vita normale all’insegna del lavoro e dello stress sottoposto dalla vita. L’uomo, abituato a combattere le mille pressioni sia in ambito lavorativo che in ambito familiare, un bel giorno nella strada di ritorno per casa sente il fischio di un treno.
Il suono, nonostante la sua apparente banalità, rimembra i viaggi fatti in passato, simbolo di un’altra vita in cui non era oppresso dalla routine quotidiana.
Ed è qui che l’uomo preso dalla nostalgia si lascia andare ad atti di ribellione stravaganti, per ovvi motivi visti in malo modo dai colleghi che lo prendono per folle.
Così come Belluca, ogni tanto dobbiamo imparare tutti noi a prendere una boccata d’aria senza arrivare a “impazzire”. Quale occasione migliore?
E soprattutto, alla fine perché in precedenza ho utilizzato l’immagine del mondo?
La risposta è semplice.
Quando si esce dalla città e si entra nei vari padiglioni (5 per l’esattezza) si ha l’impressione di essere entrati in uno di quei mondi fantastici contemplati all’interno dei libri della nostra infanzia, pieni di creature e personaggi.
Ovviamente siamo ancora nel mondo umano, ma seguendo il detto di dare a Cesare quel che è di Cesare va detto che certi cosplay (così prendono il nome i vari travestimenti sbarcati nel nuovo decennio, in cui ci si rifà a ogni genere di fandom dagli anime giapponesi ai film e chi più ne ha più ne metta) sono fatti così bene e con così cura da ingannare a primo impatto.
Solidarietà tra fan, creatività e luogo d’incontro, questi i tratti fondamentali di questo appuntamento sempre più rinomato negli anni e ancora più forte dopo lo stop subito dalla pandemia. E si può dire, mancava un po’ a tutti questo entusiasmo e questa voglia di stare insieme.